IL COLLEGIO ARBITRALE Costituito per la risoluzione della controversia insorta tra la Costruire S.p.a. (gia' Ing. Salvatore Fiore S.p.a. con sede in Napoli al Vico II S. Nicola alla Dogana n. 9 in prorpio e quale mandataria dell'Associazione Temporanea di Imprese fra la Impresa Raiola ing. Angelo S.p.a., con sede in Napoli alla via G. Filangieri n. 72, in persona del legale rappresentante della prima, il dr. ing. Elio Catello, amministratore unico pro tempore, rappresentata, difesa e domiciliata come in atti; ed il Presidente della giunta regionale della Campania quale commissario liquidatore della gestione fuori bilancio ex art. 11 comma 18 della legge n. 887/1984, in persona del suo legale rappresentante protempore, rappresentato e difeso ope legis dall'Avvocatura di Stato uffici distrettuali di Napoli, dove domicilia per legge, in relazione alla convenzione per la concessione relativa alla progettazione ed alla realizzazione delle stazioni ubicate sulla linea Ferroviaria Cumana con origine da quella di Montesanto (inclusa) e termine con quella di Torregaveta (inclusa), nonche' la progettazione e realizzazione delle stazioni sul collegamento della linea Cumana con i Comuni di Monte di Procida e Bacoli (rep. n. 279 del 18 dicembre 1986), e successivo atto aggiuntivo, rep. n. 14 dell'11 dicembre 1991; Letti gli atti del procedimento, sciogliendo la riserva formulata, rileva: che, alla luce dell'evoluzione normativa nonche' dei piu' recenti orientamenti sia della dottrina sia della giurisprudenza anche della Corte costituzionale, sussiste una sempre piu' marcata assimilazione, come organo giudicante, del collegio arbitrale - specie quando, come nel caso di specie, si tratti di arbitrato rituale - all'autorita' giurisdizionale ordinaria con una sostanziale equiparazione del lodo alla sentenza giudiziale; che, pertanto, in considerazione di quanto innanzi questo Collegio ritiene sussista la propria legittimazione a sollevare questioni di legittimita' costituzionale laddove ne ravvisi l'esistenza nel giudizio sottoposto alla sua decisione; che e' stato incaricato di pronunciarsi su una controversia introdotta con atto di accesso notificato il 26 maggio 2000, insorta tra la Costruire S.p.a. (gia' ing. Salvatore Fiore S.p.a.) in proprio e quale mandataria dell'ATI costituita tra quest'ultima e la Impresa Raiola Ing. Angelo S.p.a. contro il Presidente della Giunta Regionale della Campania quale commissario liquidatore della gestione fuori bilancio ex art. 11, comma 18, della legge 887/1984; che la difesa erariale ha declinato la competenza arbitrale in ragione dell'applicabilita' al giudizio dell'art. 3 decreto-legge 180/1998 conv. in legge 3 agosto 1998, n. 267; che la norma in questione recita: "Le controversie relative all'esecuzione di opere pubbliche comprese in programmi di ricostruzione di territori colpiti da calamita' naturali non possono essere devolute a collegi arbitrali. Sono fatti salvi i lodi gia' emessi e le controversie per le quali sia stata gia' notificata la domanda di arbitrato alla data di entrata in vigore del presente decreto"; che la controversia ha ad oggetto l'esecuzione del rapporto convenzionale costituito tra le parti relativo alla progettazione e realizzazione delle opere di adeguamento del sistema di trasporto intermodale nella zona flegrea, interessata dal fenomeno del bradisismo; che detto rapporto convenzionale trae origine dalIart. 11 legge 887/1984 (fonte del relativo finanziamento) con cui il Presidente della Giunta Regionale della Campania, nominato Commissario straordinario di Governo, e' stato autorizzato all'esercizio della relativa funzione utilizzando i poteri speciali di cui all'art. 84 della legge 219/1981; che, sebbene altri Collegi arbitrali abbiano ritenuto non ricorrenti i presupposti di applicabilita' della normazione in questione al programma ex art. 11 legge 887/1984, per la non qualificabilita' del bradisismo come evento calamitoso eccezionale (trattandosi piuttosto di un evento connaturato ad un peculiare assetto geologico del territorio), la giurisprudenza di merito (App. Napoli, I sez., sent. n. 1940/2001 del 9 maggio 2001, dep. il 28 giugno 2001), ha avuto modo di pronunciarsi in ordine alla portata ed all'ambito di applicazione della predetta normativa, riconoscendone l'applicabilita'; che la parte attrice, per il caso in cui si volesse interpretare la norma in questione come applicabile anche al programma ex art. 11 legge 887/1984, e, percio', a clausole arbitrali inter partes sottoscritte in epoca di gran lunga anteriore all'entrata in vigore del decreto-legge 180/1998, ha sollevato, con riguardo a molteplici profili di cui si dira', eccezione d'illegittimita' costituzionale dell'art. 3 comma 2 decreto-legge 180/1998 conv. in legge 3 agosto 1998 n. 267; che, a parere di questo Collegio, la norma in questione ha efficacia retroattiva in virtu' dell'ultimo periodo che esprime salvezza per i lodi gia' emessi e le controversie per le quali sia stata gia' notificata la domanda di arbitrato; che attiene a mere condizioni fattuali l'essere, o no, la controversia in questione relativa a programma di ricostruzione di territori colpiti da calamita' naturale e, pertanto, la valutazione, in un senso o nell'altro, e' compito esclusivo di questo Collegio; che, cio' non di meno, il giudice togato di merito gia' citato, peraltro proprio in veste di giudice della nullita' di altro pronunciamento arbitrale in subjecta materia, ha ritenuto un'analoga controversia ricomprendibile nell'oggetto della previsione normativa citata; che la funzione di giudici - mandatari, propria degli arbitri, impone di rendere alla parte una decisione non solo conforme al diritto ma anche utile e, pertanto, si ravvisa l'opportunita' di esaminare le questioni di illegittimita' costituzionale sollevate da parte attrice in relazione alla supposta applicabilita' dell'art. 3 del decreto-legge 180/1998 alla controversia in oggetto; che la norma de qua viene, secondo la parte attrice, a confliggere con gli artt. 2, 97, 25 e 41 Cost. nei profili che in dettaglio si riportano e si esaminano: a) illegittimita' dell'art. 3 comma 2 decreto-legge 180/1998 conv. in legge 3 agosto 1998 n. 267, in relazione all'art. 2 Cost., in quanto la norma ordinaria violerebbe il principio dell'affidamento che la ricorrente riconduce al principio di solidarieta' sancito dalla norma costituzionale. La norma ordinaria in questione e' riconducibile alla categoria delle cc.dd. leggi-provvedimento e, in ragione della sua esplicita retroattivita', e' volta ad incidere su rapporti in essere (le clausole compromissorie gia' sottoscritte e da essa interessate) dei quali lo Stato e' parte. Orbene la possibilita' per lo Stato, nei contratti che lo coinvolgono, di incidere unilateralmente sulle pattuizioni sottoscritte, e' prevista da norme specifiche ed in casi tipici e tassativi; e' sempre subordinata alla ricorrenza di un pubblico interesse, a procedimenti che ne consentano la verifica della legittimita' dell'agire e, soprattutto, alla tutela dell'affidamento del contraente privato: prova ne siano le diverse manifestazioni di autotutela. Nel caso specifico, sarebbe dato allo Stato-parte di avvalersi della produzione di una norma avente si' il rango di legge, ma consistente, in realta', in sola e pura forma di legge, in quanto riconducibile alla categoria delle cc.dd. leggi provvedimento. Cio' comportebbe una violazione del principio di tutela dell'affidamento espresso dall'art. 2 Cost. e, comunque, immanente nel nostro sistema giuridico: il principio suddetto, infatti, e' precetto verticale che si pone quale diretta conseguenza del principio di certezza del diritto; la sua violazione da parte di una norma primaria, riconducibile all'eccesso di potere legislativo, si intrinseca, come in questo caso, nelle forme della c.d. "retroattivita' impropria", cioe' nel venire alla luce di una disciplina piu' onerosa in una fattispecie i cui effetti sono ancora pendenti. Se e' vero che la lunga distanza nel tempo fra due leggi, in ragione della mutata condizione storico-economica del Paese, consente al legislatore di modificare una legge, con una nuova disposizione, in senso piu' oneroso per il cittadino, nel caso specifico: 1) il legislatore non ha inciso su una precedente disciplina legislativa ma su contratti (le clausole arbitrali interessate dalla norma) gia' sottoscritti e di cui lo Stato e' parte; 2) la norma de qua si pone segnatamente in controtendenza rispetto a norme piu' generali (art. 32 legge 109/1994 nel testo vigente frutto delle successive modificazioni; legge 205/2000) che, sebbene siano pressoche' coeve alla norma sospetta, esprimono un indirizzo piu' generale e contrario rispetto ad essa, favorendo la devoluzione in arbitri delle controversie. Non sembra percio' che in alcun modo ratione temporis ci si possa liberare dal fondato dubbio di legittimita' costituzionale della norma in relazione al principio di tutela della buona fede e di solidarieta' posto dall'art. 2 Cost. b) Illegittimita' dell'art. 3 comma 2 del D.L. 180/1998 conv. in legge 3 agosto 1998 n. 267, in relazione all'art. 97 Cost. perche' il legislatore ordinario, nei processi arbitrali cui per legge e' applicabile retroattivamente la norma censurata, determinerebbe comportamenti amministrativi nei quali non e' riconoscibile un interesse generale, bensi' il perseguimento di un interesse di parte dell'amministrazione quale contraente, e come tale soggetta alle norme del diritto comune. Del resto, come afferma la stessa Giurisprudenza di merito citata, e' difficile ricostruire la ratio del divieto di devoluzione in arbitri disposto con la norma in esame, ne' a cio' soccorre, come al contrario ritiene la Corte d'Appello di Napoli, il rilievo della ingente entita' dell'esborso economico per lo Stato in conseguenza dei processi arbitrali di che trattasi. Tale affermazione, ove avallata, sostanzierebbe il convincimento del legislatore che il Giudice arbitrale sia presuntivamente a favore del ricorrente privato, il che, in ogni caso, non puo' trovare generica e generalizzata ospitalita' in un provvedimento avente forza di legge e che, ove dovesse in casi concreti riscontrarsi fondato, troverebbe altri rimedi gia' apprestati dall'ordinamento. Peraltro, una si' puntuale dichiarazione di sfiducia verso il Giudice privato contrasta con il generale "favor" che il legislatore sta esprimendo, come sopra detto, in questi anni, nei confronti dell'arbitrato. Detto "favor", esso si, e' motivato dal perseguimento di un pubblico interesse: quello che fra le parti del processo sia fatta giustizia nel piu' celere modo possibile, cosi' come esse hanno desiderato e convenuto sottoscrivendo la clausola compromissoria, onde limitare il carico di interessi e di oneri di rivalutazione a carico del soccombente, maggiormente nel caso in cui esso sia lo Stato. Per converso, un atteggiamento sfavorevole all'arbitrato non potendosi leggere, come detto, in termini di presunzione legale di parzialita' dei Collegi arbitrali previsti nei contratti per l'esecuzione di opere pubbliche in conseguenza di calamita' naturali, appare in contrasto con l'art. 97 Cost. tanto per l'agire della norma, che ne e' portatrice, su un patto contrattuale che le parti hanno scientemente e liberamente sottoscritto e che ora una delle parti, avvalendosi della sua prevalenza ordinamentale, non intende rispettare e, anche, per la contrarieta' della norma de qua al principio di economicita' che deve reggere l'azione amministrativa. c) illegittimita' dell'art. 3, comma 2, decreto-legge 180/1998 in relazione all'art. 25 Cost. in quanto la norma ordinaria violerebbe il principio in base al quale il giudice naturale e' il giudice precostituito per legge. Nel caso tra le parti sia sottoscritto un patto per arbitrato rituale, la scelta del giudice naturale e' avvenuta dai contraenti attraverso la sottoscrizione della clausola compromissoria. Il patto arbitrale ha, infatti, ad oggetto la scelta di un particolare mezzo per conseguire la tutela giurisdizionale del diritto: e', dunque, contratto avente effetti processuali. Tali effetti, laddove traggano in concreto fondamento da un patto validamente stipulato, immediatamente conseguono alla sottoscrizione del patto ad opera delle parti. La individuazione del momento in cui si' incardina la competenza arbitrale, deve, pertanto, fare riferimento non gia' alla proposizione della domanda di arbitrato bensi' antecedentemente e precisamente al momento della stipulazione della clausola compromissoria, e cio', ancor piu', dove, come nel caso di specie, le parti che la hanno sottoscritta la hanno definita liberamente ed espressamente indeclinabile. II patto arbitrale nel derogare pattiziamente al Giudice ordinario in favore del Giudice privato individua in quest'ultimo il Giudice naturale. Il momento della stipula del patto arbitrale, in quanto valido ed immediatamente efficace, coincide, dunque, con la individuazione del Giudice naturale. A conferma di quanto esposto, d'altra parte, la Cassazione ha posto in evidenza che "l'accettazione dell'arbitro, che e' requisito necessario per l'instaurazione del giudizio arbitrale, costituisce, invece, elemento estraneo alla perfezione della clausola compromissoria, la quale trae la sua efficacia dall'incontro delle volonta' delle parti (risultante da atto scritto) sul punto che la controversia debba essere decisa da arbitri, sicche' chi eccepisce un incompetenza del Giudice ordinario, in presenza di una clausola compromissoria, nessuna prova deve dare in ordine all'accettazione dell'arbitro" (Cass. 9 marzo 1982, n. 1519). Non puo' peraltro ritenersi che il prodursi degli effetti derivanti dal patto arbitrale sia solo eventuale, in quanto subordinato alla condizione sospensiva dell'insorgere di una controversia tra le parti. E' ben vero, infatti, che l'eventualita' della lite non e' elemento estraneo alla formazione del contratto, com'e' invece l'evento dedotto in condizione, bensi' e' un elemento connaturale al tipo contrattuale (il patto arbitrale) e lo connota peculiarmente. E pertanto, considerato che l'eventualita' della lite costituisce un elemento connaturale al tipo non puo', secondo i principi generali, integrare una condizione in senso tecnico. Se, quindi, la scelta del Giudice naturale consegue immediatamente alla valida stipulazione della clausola compromissoria, deve fondatamente manifestarsi il dubbio di costituzionalita', per contrasto con l'art. 25 Cost., della norma in questione che, con valenza retroattiva, pone nel nulla l'efficacia del patto arbitrale distogliendo le parti dal Giudice naturale precostituito per legge. Cio', a maggior ragione, quando il mutamento, retroagendo, riguardi non gia' tutte le controversie di un certo tipo ma solo una o alcune di esse, come nel caso. D'altra parte anche laddove si opinasse che con la stipulazione della clausola compromissoria nasca una negoziazione sospensivamente condizionata all'insorgere di una futura controversia tra le parti, non potrebbe, comunque, negarsi che, in base al disposto dell'art. 1360 codice civile, il verificarsi dell'evento dedotto in condizione, segnatamente l'insorgere della controversia, determinera' automaticamente la retroattivita' degli effetti negoziali al tempo in cui la clausola compromissoria si e' perfezionata. d) Illegittimita' dell'art. 3, comma 2, decreto-legge 180/1998 in relazione all'art. 41, comma 1, Cost. L'imposizione di condizioni restrittive per lo svolgimento della autonomia contrattuale, come la modificazione e l'eliminazione di clausole di contratto, e' ammissibile dal legislatore quando queste ultime siano reputate in contrasto con interessi pubblici ritenuti preminenti rispetto al libero dispiegarsi dell'autonomia privata. In tali ipotesi l'autonomia contrattuale deve cedere di fronte a motivi di ordine superiore, economico e sociale, considerati rilevanti dalla Costituzione (cfr. Galgano, II diritto privato fra codice e costituzione, Bologna 1978, p. 125). La mancanza di tali motivi "di ordine superiore" e' invece evidente nella formazione sospetta: ed infatti, essi certamente non possono rinvenirsi in un apodittico interesse al rapido esito delle controversie attinenti ad opere pubbliche comprese in programmi di ricostruzione di territori colpiti da calamita' naturali, in quanto lo stesso non sarebbe certo garantito dalla esclusione degli arbitrati; ne' in ragione dell'elevato assunto valore delle relative controversie, in quanto non solo la norma sospetta non pone limite di valore economico, ma anche perche' controversie di valore anche maggiore non subiscono lo stesso divieto; ne' in un disfavore generalizzato sussistente nell'ordinamento per la devoluzione ad arbitri delle controversie. Quanto innanzi fa quindi ritenere che la norma de qua possa porsi in contrasto con l'art. 41, comma 1, Cost., considerato che essa sacrifica illegittimamente l'autonomia privata privando di efficacia atti negoziali validamente conclusi ed immediatamente produttivi di effetti senza che tale sacrificio abbia giustificazione nella ricorrenza di un interesse pubblico prevalente.